“….ce l’ho fatta, impossibile. O forse tutto è possibile!”

Una cliente Ego Wellness alla maratona di New York
Tempo di lettura stimato: 7 minuti

Cronaca della Maratona di New York di una #wellnesswomangirl…

 

Chiara e Marco sono marito e moglie, clienti Ego e hanno partecipato insieme alla maratona di New York. Due delle persone che ci rendono – come tutte le altre, ogni giorno, ognuno con il proprio percorso – orgogliosi di vivere con vocazione e tantissima determinazione, da 34 anni a questa parte, l’dea di diffondere a Lucca la cultura wellness oriented: una pratica sana di fitness per un buon equilibrio psico-fisico; energia ed allenamento per le piccole grandi imprese; più serenità per il piacere delle nostre relazioni umane e forza crescente per affrontare e risolvere i cambiamenti e i problemi a cui non possiamo sottrarci. Ci crediamo, sì. Non solo una “palestra” riconosciuta Premium Club – con nostra umiltà – dai più alti livelli di settore; non solo un’azienda con persone, famiglie e professionisti da valorizzare.
L’impegno per garantire la qualità a cui aspiriamo è massimo, quotidiano. Una maratona senza sosta…Non c’è un giorno in cui pensiamo che sia facile, e continuiamo a crederci, a restare in movimento, open minded per crescere insieme a voi, con gratitudine.
Essere attivi aiuta a migliorare, da tutti i punti di vista e contribuisce a rendere possibile ciò che per vari motivi reputiamo “impossibile”.
Il racconto di Chiara Tofanelli e la sua maratona di New York – una maratona reale, fisica, di ben 42 faticosissimi chilometri, ma non solo – è un dono speciale che ci ha fatto, in esclusiva. E lo condividiamo con emozione con tutti voi, che siete ogni giorno la meta del nostro viaggio continuo. #Be wellness! #Be positive!

 

” Dopo una notte insonne sento finalmente suonare la sveglia delle 5… si parte! Un bacio ai bimbi che dormono e scendiamo nella hall dell’albergo con gli amici Seventies di Lucca, Marco e Andrea. Un breve appello come a scuola, tutti presenti e alle 6 siamo già sul pullman, direzione Verrazzano’s Bridge, Staten Island.
L’atmosfera è elettrizzante, si respira adrenalina e tensione negli stand alla partenza, atleti in preparazione, smistati in modo ordinato nei vari “corral”. Con gentilezza e disponibilità, lo staff riesce a gestire l’affluenza di oltre 55.000 partecipanti, distribuendo le partenze in 4 “waves “, ovvero scaglioni di starting. Un clima perfetto per correre: nuvoloso e mite.

Ore 10:15 è il nostro turno, fortunatamente riesco a partire con mio marito, però che peccato dividerci dai nostri amici lucchesi. Ahimè, ma proprio ora inizia a piovere?! Dopo l’Inno Americano e le melodie di Frank Sinatra si sente il boato, lo sparo di cannone dello start, emozioni indescrivibili, sembra di essere in un film, come una diga che si apre, siamo un fiume umano che scorre sul ponte, la scena è maestosa. Una partenza decisamente e tecnicamente difficile: in salita e al buio, ma fortunatamente al riparo dalla pioggia e dal vento, sul percorso sottostante il ponte. Una pioggerella sottile, ma fitta e incessante, che ti penetra nelle ossa, causa di malori e congestioni per diversi partecipanti.

 

Alla fine del Ponte di Verrazzano inizia la festa: mai avrei immaginato un tifo del genere, un’allegra folla multietnica e colorata che sotto la pioggia su tutta la 4th Street ti incita ogni minuto, gridando il tuo nome con un’energia incredibile. Fino al 20° km in un’atmosfera del genere non avverti stanchezza né dolori, solo euforia ed entusiasmo. Ti fanno sentire una star, un super eroe e tutto questo solo perché fai la cosa più banale che esista: corri.

Ogni quartiere ha la sua band e malgrado la pioggia non accenni a interrompersi, sono tutti lì a suonare per te, per spingerti avanti. Chi ti porge un biscotto, chi una banana, chi un fazzoletto per asciugarti il sudore. Pazzesco. E tutti vogliono darti la mano. Sto vivendo una favola. Finiti questi momenti di gloria, un nuovo ponte, bestiale: il Ponte di Queensboro. Oltre alla ripida salita che al 21° km è un massacro per le gambe, mi manca il tifo perché è vietato l’accesso al pubblico, quindi si corre nel silenzio assoluto con un senso di solitudine, e le intemperie sembrano ancora più aspre, vento e pioggia mi si scagliano contro.

Ma non vedo più Marco. Sarà avanti? Ci sei? Dove sei? Niente. Panico. Ci siamo persi. Sono sola in mezzo a migliaia di stranieri. Che faccio? Beh intanto corro. Santo whatsapp, una volta tanto ti benedico: sms vocali dall’Italia, amiche, parenti tutti mi stanno seguendo. Non li posso deludere, non posso mollare. Finirà questo inferno, sono già a metà. Da qui parte un’altra mezza maratona ed è tutto finito. Finalmente inizia un po’ di discesa, sciolgo le gambe, sono bagnata fradicia, ma andiamo avanti. Inizio a sentire rumori in fondo al ponte, un ingresso trionfale in Manhattan: musica, allegria, il mio tifo americano è tornato a spingermi.

 

Avevo bisogno di voi, guys, del vostro calore. Bellissimo questo tratto, sicuramente il più emozionante per me. Si inizia a intravedere la City all’orizzonte, l’Empire State Building e tutta la Grande Mela in tutta la sua imponenza e maestosità, anche se offuscata dall’incessante pioggerella. Mentre piango e rido dall’emozione, riprendo vigore e via avanti. Mi godo la gloria, non devo pensare alle gambe, alle dita dei piedi putrefatte… ma “chissene”, direbbe Franci. A proposito: che farà il mio adolescente in giro con i nonni per la City? Shopping? Penserà un po’ all’odissea che stanno vivendo i suoi genitori? Non vedo l’ora di riabbracciarli i miei cuccioli.

Con questi pensieri e nel caos della folla sento una vocina….. “Mamma!” e dico “No… è impossibile”, iniziano le allucinazioni, sarà il calo di zuccheri…e poi sento loro “Chiara! Chiara!”. Mi giro alla mia destra e li vedo tutti lì, sotto la pioggia a sbracciarsi dietro alla transenna, il nostro mitico gruppo di tifosi lucchesi, armati di striscioni e bandiere: Lucia, Michela, Monica, Lorenzino e Leonardo… e in fondo vedo lui, Filippo, il mio scricciolo biondo, abbarbicato alla transenna per farsi vedere. Un ago in un pagliaio, eppure ci siamo incontrati. E ora chi mi ferma? Nemmeno un uragano. L’uragano sono io.

 

Sono al 28° km, ne mancano “solo” 14. Dai non piangere, altrimenti i battiti aumentano. Ma sì, un piantino facciamolo, potrebbe essere liberatorio. Ecco un altro ponte, non aspettavo altro, cavolo. Allora penso agli allenamenti su per Arsina, Pieve Santo Stefano, quante ne avrò fatte di salite? Magari mai dopo aver corso 30 km, ma dai che vuoi che sia, un ponticello di 3 km… e poi devo raggiungere il mio tifo che mi aspetta in fondo al ponte. Arrivo, tranquilli. Quartiere ebraico: silenzio di tomba, anzi, scusateci se passiamo di qua.

 

Ma di lì a breve la musica cambia… eccoci nel Bronx: attraversare questo quartiere è come partecipare a una festa rock o un rave party, eccezionale, come nei migliori film americani. Ma iniziano a mancarmi le forze, questi “puppini” (alimentazione durante il running, n.d.r.) non sono certo come un piatto di spaghe

tti. Quando torno a casa butto via tutto. Ecco che vedo un bambino di colore sul percorso che mi offre una banana con un sorriso meraviglioso che porterò sempre con me. La mia salvezza: una banana al 30’ km. Ne mancano ancora 12, ma che vuoi che sia, è come un giro del fiume con Maria Teresa, ne avremo fatti 1000 insieme. Siamo collegate e lei mi incoraggia, mi spinge ma io non ne posso più. Non sento le gambe, non sento i piedi, sono zuppi e pieni di vesciche, mi fa male tutto e non riesco a farmi spingere dal tifo, non riesco più a sentirlo… Ancora sms, vedo le notifiche sull’orologio, da Carlo, mio fratello, le mie amiche “galline”, benedetta la tecnologia, in questi casi salvavita, ma non ce la faccio proprio a leggervi. Grazie di cuore, lo sento che ci siete.

 

E poi ecco un altro ponte. Maledetti questi infiniti bridge americani! Mi sento psicologicamente instabile, devo ritrovare il mio equilibrio. Sorrido con euforia alla folla e dopo un attimo un singhiozzo di pianto. Sali minerali, acqua, che mi manca? La testa. Mi devo concentrare e basta. Siamo in fondo, non posso fermarmi. Sono andata bene fino ad ora, con costanza ho mantenuto il mio passo di 6 minuti al km, il cardio mi dice che i miei battiti sono regolari, allora forza! Testa e cuore. Quante volte me l’hanno inculcato questo motto i miei amici runners. Finalmente rientriamo in Manhattan, dove ad Harlem ci accoglie un tifo memorabile. Ma il percorso è tremendo, un gran finale tra salite e discese, più che una maratona mi sembra un trail, ma non posso mollare.

 

Sono al 34° km, il Central Park è vicino, eccolo tra poco si entra. Che spettacolo. Quanta gente eccitata che grida il mio nome. Mancano solo 8 km, nemmeno due giri di mura, non mi possono certo spaventare, ma accidenti, non finiscono più! Dai, ancora su e giù… siamo a 38, manca giusto un giro di mura: le mura della mia splendida Lucca. Miliardi di persone ad acclamarmi e a spingermi, grandi che siete, non finirò mai di ringraziarvi, ho bisogno di voi, riesco a malapena a sorridervi, ma non ce la faccio più. Se ne esco viva offro da bere a tutti… Dai Chiara! Dai, ancora dai 2 km!

 

La folla aumenta, sempre più eccitata e non so più se ridere o se piangere, ma in qualche modo ci arriverò a quel maledetto traguardo, anche strisciando. Eccolo, lo vedo: dopo l’ultima salita in questo parco meraviglioso, che fino ad oggi mi pareva pianeggiante e che ora paragono all’Appennino e mi pare alquanto infernale. Forse perché in queste condizioni di stremo fisico, ad ogni minimo dislivello mi pare di scalare l’Everest?! La folla mi acclama. Anche qui musica, cori, atmosfera sempre più coinvolgente ed elettrizzante, nonostante la pioggia. Vedo un palco, gente che balla e la bellissima cantante interrompe la sua canzone e mi chiama per nome e mi incoraggia “Go, beautiful Chiara!” e lo speaker le va dietro, e io giù con un altro piantino… Il traguardo si avvicina, o sono io che mi avvicino a lui… non mi rendo conto nemmeno se corro o se sono ferma, ma ormai è finita, piango, rido, sto impazzendo.Vedo delle gradinate blu ai lati del percorso sul Central Park, piene di spettatori, tutti in piedi ad applaudirmi e poi eccolo, finalmente, il traguardo: la fine.

Ce l’ho fatta e non ci credo, è impossibile. O forse tutto è possibile. La medaglia è mia… ”

(Chiara Tofanelli, #wellnesswomangirl)

 

 

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